I protagonisti del recupero del territorio – La storia di Mamadou

Parlare di recupero del territorio è molto facile da scrivere ma non è altrettanto semplice metterlo in pratica. La Fondazione Manarola, vuole dare spazio ai veri “attori” di questa importantissima opera a beneficio della sopravvivenza del nostro fragile territorio.

Mamadou* – Gambia (Africa Occidentale) 

Indossa una felpa verde chiaro. Sorride e ci saluta educatamente mentre ci viene incontro, presentato da Giancarlo come leader della squadra di lavoro. Mamadou indica i suoi colleghi che stanno lavorando, spiegandoci brevemente da dove vengono e quali lingue parlano. Sedendosi sulla terra bruna, accanto a noi, tira fuori una sigaretta. Anche se è molto riservato e timido, poco alla volta inizia a raccontare la sua storia.

Mamadou ha quasi quarant’anni, è nato in una famiglia di agricoltori e pescatori del Gambia. È un padre, un figlio, un fratello e un ex studente. È sempre stato abituato al duro lavoro, per questo il suo attuale impiego, nei campi della Fondazione, “non è così tosto come si potrebbe pensare. Sono abituato alla fatica”, ci spiega. Imparare a ricostruire i muri a secco, tagliare l’erba, pulire i terreni e coordinare i lavori sono tutti compiti che svolge con piacere: “Tutto ciò che deve essere fatto, lo facciamo velocemente“.

Ci dice onestamente che venire in Italia non è stata affatto una scelta. Non aveva mai viaggiato prima e ritrovarsi su una piccola barca in mezzo al mare, perché costretto a fuggire dal suo paese e dai suoi affetti, non è stato facile. “Ho rischiato la vita … devi scegliere se morire o provare a sopravvivere” – afferma. Non c’è nessuna garanzia di sopravvivenza: “Ti mettono sulla barca e non è affatto facile”. Dopo essere attraccato in Italia, è stato individuato dalla Caritas di La Spezia come persona idonea per partecipare al corso di formazione della Fondazione Manarola. “Ora sono qui e sto cercando di andare avanti. Penso molto alla mia famiglia…ogni minuto, ogni secondo, ogni attimo della mia vita io penso a loro”.

Mamadou ripete spesso di essere felice qui. Alla domanda sul perché, afferma, “Prima di tutto per il modo in cui siamo trattati (come parte della comunità, ndr). Ecco perché sono ancora qui dopo così tanto tempo”. Dio mi ha dato delle persone che mi trattano come i miei genitori” conclude. Quando Giancarlo ci passa vicino per prendere uno strumento di lavoro, Mamadou con gioia afferma: “Soprattutto a questo signore non ho nulla da dirgli, ma mi tratta come fossi suo figlio. È molto buono“.

Chiediamo a Mamadou come si vede tra cinque anni. “Qualsiasi cosa che Dio vorrà che accada ad un uomo, accadrà”. Preferisce concentrarsi sul presente, sul suo lavoro quotidiano e sui rapporti umani che è riuscito ad instaurare. Quando pensa al suo futuro, scuote semplicemente la testa: “Non so cosa verrà dopo; solo Dio lo sa“.

Anche se il suo futuro è incerto, gli vengono in mente le parole di sua madre, “sii sempre positivo”.

*I nomi sono stati cambiati su richiesta degli intervistati per motivi di privacy
**Le interviste sono state svolte da Erica Zwieg e Sara Zoppi, collaboratrici Fondazione Manarola